Chi non avrebbe voluto fare delle scelte diverse nel corso della propria vita? Chi non vorrebbe avere infinite possibilità? Capita spesso di rimuginare sul proprio passato, pentendosi amaramente di ciò che è stato e desiderando di aver potuto aprire una porta diversa di fronte a una determinata occasione.
Ma chi ha bisogno di una porta quando si hanno i libri?
Matt Haig, nel suo romanzo “La biblioteca di mezzanotte” scrive di Nora Seed, una ragazza inglese che della sua vita ricorda solo un susseguirsi di infelicità e dolore, motivo per cui una sera decide di porre fine a quella atrocità, condizionata dalla morte del suo gatto Voltaire – come si suol dire, la goccia che fece traboccare il vaso -.
Nora si risveglia nella cosiddetta “grey zone”, ossia un posto che si trova tra la vita e la morte, in cui c’è tutto ma allo stesso tempo non c’è niente, se non un’enorme biblioteca: La biblioteca di mezzanotte.
Ogni libro poggiato su quegli scaffali che vanno all’infinito rappresenta una vita parallela in cui Nora ha fatto qualcosa di diverso nel suo passato e, ora, ha la possibilità di prendere quelle vite in mano e vederne le conseguenze nel presente.
Può fermarsi in una di queste vite, ma solo se sarà davvero quella adatta a lei, altrimenti ritornerà alla biblioteca in cui il tempo è fermo alla mezzanotte della sera in cui decise di togliersi la vita. Questa, però, non è una condizione perenne: non può perdere tempo, deve scegliere con cura la vita in cui vorrebbe effettivamente vivere e non essere solo viva, altrimenti uscirà dal limbo e si concretizzerà nella sua morte.
“La biblioteca di mezzanotte” è un libro per tutte le persone che sentono di non essere abbastanza: è facile parlare con il senno di poi e pentirsi di non aver fatto questo oppure quello, di non aver detto sì oppure no, di non avere visitato questo luogo oppure quell’altro, ma la verità che ci insegna Nora Seed è che nonostante ci sia la probabilità che in questo momento, in un universo parallelo, ci sia una nostra versione più felice e soddisfatta della vita, non dobbiamo invidiarla.
Il vero problema che ci rende nemici di noi stessi è proprio il rimpianto in sé: rimuginare non porterà mai a nulla di concreto perché noi siamo questi, stiamo vivendo questo mondo che sarà pieno di felicità pur sempre rapportata a un po’ di tristezza, come lo sarà in ogni altro universo immaginabile, e dobbiamo farne tesoro.
Questo romanzo, nonostante cominci con il suicidio della protagonista, si rivela in realtà un inno alla vita con una filosofia da intraprendere per poterla comprendere a pieno apprezzandola passo per passo, prendendola in mano senza andare di fretta ma nemmeno troppo lentamente. Dopotutto, la vera prigione non è il luogo ma la prospettiva.
“The paradox of volcanoes was that they were symbols of destruction but also life. Once the lava slows and cools, it solidifies and then breaks down over time to become soil – rich, fertile soil. She wasn’t a black hole, she decided. She was a volcano. And like a volcano she couldn’t run away from herself. She’d have to stay there and tend to that wasteland. She could plant a forest inside herself.”